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La Merope et il Tancredi tragedie di Pomponio Torelli conte di Montechiarugolo. Nell'Accademia de' sig. Innominati di Parma il Perduto. Di nuouo ampliate, & ricorrette. Insieme con gli scherzi dell'istesso autore. All'illustr.mo et reuer.mo sig.re il sig. cardinale Farnese.

In Parma : per Erasmo Viotti, 1598 (In Parma : per Erasmo Viotti, 1598).

239, [1] p. ; 8o. Segn.: A-P8

Impronta : s.'l i;a; a.a: EtPo (7) 1598 (R)

Rif. Edit 16. Marca_ (Z 812) sul front. Stemma del dedicatario a c. A5r. Fregi e iniz. xilogr. I ed.

Viotti, Erasmo <1>;

Coll.: 1576 - G.III 42

Pomponio Torelli, letterato e autore drammatico nato a Montechiarugolo (Parma) nel 1539, morì a Parma nel 1608. Nipote per parte di madre di Gian Francesco Pico Della Mirandola, apprezzato autore di versi italiani e latini, attivo membro dell'Accademia parmense degli Innominati, con il nome di "Perduto", dove lesse e commentò Aristotele, visse sempre alla corte dei Farnese e fu l'educatore di Ranuccio. La sua novità fu di introdurre sul finire del ‘500 tragedie che per prime posero il dramma della ragion di stato. La novità del tema politico alimentò più tardi il teatro francese e il teatro italiano dell’Alfieri. Va segnalata particolarmente la Merope (edita nel 1589), derivata dalle Fabulae di Igino, in cui è seguito l’indirizzo aristotelico e grecizzante. Meno rilevanti appaiono le altre tragedie del Torelli, il Tancredi (1597), il Polidoro (1605), la Vittoria (1605). Era amico del Tasso. Ebbe vari incarichi diplomatici e nel 1584 andò, come ambasciatore, in Spagna per ottenere per il suo signore la restituzione del castello di Piacenza ed essendoci riuscito, l'anno seguente, fu portato in trionfo dal popolo fino al palazzo di Ranuccio. Apprendiamo nella lettera dedicatoria del Tancredi, diretta a Francesco Maria Della Rovere, che l'opera é tratta da una novella del Boccaccio, che aveva già ispirato in forma di tragedia altri autori quali Girolamo Razzi e Ottaviano Asinari di Camerano; ma il Torelli pose del tutto in ombra la vicenda sentimentale per sottolineare come la vita di corte sia sempre dominata dalla fredda ragion di Stato e dalla cupa invidia dei cortigiani.